DIZIONARIO



Nuove voci di Carla Canestrari

NUOVE VOCI DEL «DIZIONARIO DELLE TECNICHE CONVERSAZIONALI»
 
di Carla Canestrari
 
 
Il punto della situazione
 
Ormai da qualche tempo mi occupo di tecniche, in particolar modo degli interventi utilizzati nella situazione terapeutica dal professionista. La forte esigenza di fornire uno strumento operativo al terapeuta e il bisogno di classificare le tante tecniche apparse nella rubrica del “Dizionario delle «Tecniche conversazionali»” fin dal 1989, anno di nascita della relativa rivista, sono stati lo stimolo per una prima riflessione in tal senso (Canestrari 2001a e 2002).
Dall’analisi svolta sulle (fino ad allora) ottanta tecniche è emersa una iniziale macro-distinzione tra le tecniche non operative e operative: le prime esprimono i concetti e le metodologie conversazionali di fondo, le seconde hanno una valenza applicativa importante nel qui ed ora della conversazione, cioè sono orientate a un risultato conversazionale.
Le tecniche non operative sono a loro volta suddivise in: 1) descrittive (danno informazioni sul modo di parlare di qualcuno, per cui sono utili per l’analisi immateriale: “citazione” e “uso dei deittici” ne sono esempi); 2) generiche o concettuali (esprimono le definizioni dei principali concetti cardine del Conversazionalismo, come “conversazione” e “tecnica attiva”); 3) metodologiche (si riferiscono alla metodologia, intesa come procedimento logico, sottostante a un intervento, per esempio: “abduzione”, “induzione”).
Le tecniche operative portano in primo piano la valenza pratica di un intervento, il loro essere orientate a un risultato; tali modalità di alimentare una conversazione erano riconducibili dapprima a tre, poi a quattro possibilità. Inizialmente si pensava che il terapeuta avesse a disposizione tre strade: 1) tecniche di identità, unità o ordine: hanno lo scopo di fornire unitarietà al parlare altrui e/o di offrire all’interlocutore una visione unitaria circa qualcosa: si pensi agli interventi di “medesimezza”, “risposta di sintesi”, “generalizzazione”; 2) tecniche di disidentità, pluralità o caos: pongono l’accento sulla molteplicità e la diversità esplicabili a livello linguistico o relazionale: per  esempio, l’intervento di “somministrazione di frammenti di caos” ha un connotato psicologico/relazionale, a differenza della tecnica del “cambiamento di storia”, orientata sul versante linguistico, in particolar modo semantico; 3) tecniche di focalizzazione: sono le azioni volte a sottolineare elementi particolari di un’entità: correggere un’affermazione generica come “sono triste” in un enunciato più specifico del tipo “oggi sono triste” è il risultato di un intervento di focalizzazione (altri esempi sono forniti dalla tecnica di “determinazione” e di “disambiguazione”).
Il primo tentativo di catalogazione del Dizionario delle Tecniche Conversazionali, qui brevemente ricordato, è stato successivamente ampliato grazie al contributo di Rodolfo Sabbadini, che ha proposto la classe delle tecniche di generalizzazione (Canestrari 2001b). Tale categoria si contrappone agli interventi di focalizzazione ed equilibra lo sbilanciamento che vedeva l’egemonia delle altre due tipologie di interventi. Nella prima suddivisione le tecniche di generalizzazione e affini erano state poste come sottoesempi delle tecniche di identità, unità o ordine, per il loro intento di ricondurre il discorso a un elemento già dato, senza spezzettarlo.
 
Le nuove tecniche operative  
 
Dopo i primi intenti di catalogazione delle tecniche sopra sintetizzati, il Dizionario ha continuato a funzionare come strumento di riflessione e raccolta degli interventi possibili nella pratica del Conversazionalismo, corredati, come di consueto, da definizioni ed esempi di applicazioni già avvenute. Rispetto agli anni precedenti la rubrica ha riportato esclusivamente tecniche che potremmo definire operative; tale fenomeno può essere letto come il riconoscimento effettivo di considerare tecnica in senso stretto l’intervento impiegato dal terapeuta in vista di un risultato osservabile, in accordo con la fondamentale definizione di “tecnica” (“Tecniche Conversazionali” n.1, 1989; da qui in poi si utilizza la sigla TC).
Vanno sotto la categoria di tecniche di identità, unità o ordine gli interventi di “assimilazione”, di “allocuzione” (entrambe in TC n. 26, 2001), di “complemento di frase” (in TC n. 29, 2003); la classe degli interventi di disidentità, pluralità o caos si arricchisce con la “tecnica del disimpegno”, l’ “interruzione di frase” (in TC n. 27), la “somministrazione di autobiografia” (TC n. 28), l’ “intrusività” (TC n. 29), l’ “uso del condizionale controfattuale” (TC n. 30), la “tecnica umoristica” (TC n. 32), la quale ultima è attualmente il titolo di un articolo e non ancora una voce del Dizionario.
L’intervento di “assimilazione” è utilizzato da chi vuole rendere simile a sé una o più proprietà altrui; il riferimento all’unità o identità psicologica è evidente. Anche l’“allocuzione” va in tale direzione, soprattutto perché permette di formare una unità relazionale attraverso indicatori linguistici volti a includere l’interlocutore nel proprio discorso. I pronomi “io” e “tu” sono una spia di tale tecnica, che interseca gli “indicatori di intimità” (TC n. 24). Il movimento logico sottostante richiama la generalizzazione: il parlante generalizza il vissuto altrui che così lo rispecchia. Il “completamento di frase” deve la sua appartenenza alle tecniche di identità, unità o ordine a motivi prevalentemente linguistici e formali: il tentativo di chi attua tale intervento è dare compiutezza a una frase altrui lasciata in sospeso. Tale modalità potrebbe compromettere la felicità conversazionale quando il completamento è vissuto dall’interlocutore come un’intrusione nel proprio dire o come un’interpretazione non rispondente al proprio pensiero. Scegliendo una parola piuttosto che un’altra, chi completa focalizza il senso del discorso su un aspetto a discapito di un altro.
Sull’altro versante, la “tecnica del disimpegno” si utilizza per cambiare motivo narrativo e focalizzare il discorso su qualcosa di diverso: la disidentità è prevalentemente semantica. Tale intervento interseca l’“intrusività”, caratterizzata da una disidentità linguistica, e l’“interruzione di frase”: quest’ultima può rappresentare una modalità per cambiare argomento o comunque un tentativo di prevaricare il discorso altrui con le proprie parole. Queste tre tecniche, in particolar modo l’ “interruzione di frase” e l’“intrusività”, devono essere sapientemente dosate: la possibilità di infrangere la felicità conversazionale è elevata. Con la “somministrazione di autobiografia” il discorso cambia il suo ancoraggio relazionale: il terapeuta parla di sé, focalizzando l’attenzione su un elemento che lo riguarda. In tal senso si parla di tecnica di disidentità che comporta un disvelamento. Con l’ “uso del condizionale controfattuale” il terapeuta apre la conversazione a un mondo possibile, alternativo e disidentico rispetto a quello attuale. Tale intervento si serve della focalizzazione attenzionale per ampliare il raggio delle possibilità. Infine, la “tecnica umoristica” comporta, per la natura plurisemantica dell’umorismo, una pluralità. Inoltre, tale intervento permette uno spostamento di comunicazione: dal parlare serio allo scherzo.
 
Una nuova proposta per l’analisi delle tecniche
 
Nel corso dell’analisi delle tecniche si è affacciata un’ulteriore possibilità di analisi degli interventi. Il primo campanello era stato offerto dalla “somministrazione di autobiografia”, intervento caratterizzato dalla prima persona singolare del terapeuta. Tale modalità è poco riconosciuta dalle psicoterapie più ortodosse, anche se negli ultimi tempi si assiste a  uno spostamento di visuale: per esempio, la psicoterapia della Gestalt Psicosociale si è aperta negli ultimi tempi a tale possibilità (Canestrari 2004). La singolarità di questa tecnica sta nel fatto che porta nella conversazione un elemento di disidentità caratterizzato dal cambio di interlocutore; nella relazione terapeuta-cliente, è importante stabilire il centramento della conversazione. Il Conversazionalismo è solito analizzare le sedute prendendo in considerazione le parole del cliente per ravvisarne le afferenze all’io o eventuali eclissi. Spostando l’attenzione sull’io del terapeuta scopriamo che nella maggior parte dei casi, come le tecniche finora raccolte nel Dizionario testimoniano, il Conversazionalista parla in seconda o terza persona tranne nei casi, meno frequenti, in cui esprime qualcosa di sé. In tal caso si può parlare di tecnica “autoreferente” (Canestrari in c.d.s.) ponendo il piano dell’analisi sul livello relazionale. La distinzione tra tecniche autoreferenti ed eteroreferenti richiama il concetto di comunicazione dichiarativa autonarrativa di Zuczkowski e Santarelli, 2000.
Sembra che l’autoreferenza, la focalizzazione e il suo opposto, la generalizzazione, siano strumenti per raggiungere l’unità o la disidentità dialogica e /o psicologica. Dal punto di vista linguistico e discorsivo alla tecnica di unità sopravvengono coesione e coerenza testuali; tale fenomeno si inserisce nel quadro ampio della condivisione del motivo narrativo. All’opposto le tecniche di disidentità sono, semanticamente parlando, una virata dal tema dell’interlocutore. Nella nuova ottica assume fondamentale importanza il motivo narrativo che nella precedente organizzazione delle tecniche operative rimaneva più sullo sfondo. La tecnica si configura in termini neutri come la restituzione consapevole del motivo narrativo in vista di un esito osservabile; tale operazione può volgersi alla prosecuzione o al cambiamento del motivo narrativo precedentemente introdotto tramite interventi che focalizzano aspetti specifici della tematica o ne generalizzano altri. In tal senso l’osservazione di Rodolfo Sabbadini trova una collocazione operativa interessante. La restituzione del motivo narrativo può anche comportare un cambiamento del soggetto parlante, ruolo ricoperto ora dal terapeuta ora dal cliente. Le tre tipologie di tecniche finora considerate hanno uno scopo circoscritto (focalizzare, generalizzare, riferirsi a sé stessi) incluso in quello più ampio delle tecniche di unità o pluralità in cui sono inserite. Si può operare una distinzione tra micro-risultati, perseguibili con le tre strategie, e macro-risultati: offrire unità e ordine o pluralità e disordine.
Dalle riflessioni attuali emerge che a disposizione del terapeuta vi siano due strade, il bivio tra unità e disidentità, entrambe percorribili con tre (e forse più) mezzi di locomozione: la focalizzazione, la generalizzazione, l’autoreferenza.
 
 
Conclusioni
 
Partendo dall’iniziale classificazione delle tecniche si è giunti ad una nuova analisi che considera la conversazione in senso multimodale; le modalità operative a disposizione del terapeuta si snodano secondo due principali filoni: nel primo rientrano le classi di tecniche di identità, unità o ordine e nel secondo quelle di disidentità, caos o disordine. Al terapeuta sta la scelta di indirizzarsi per una via o l’altra utilizzando la focalizzazione o la generalizzazione e, simultaneamente, l’autoreferenza. In altre parole, l’autoreferenza può, a seconda dei casi, essere funzionale alla focalizzazione o alla generalizzazione, che, a loro volta, sono utilizzabili per promuovere omogeneità o pluralità discorsive.
Come si nota, il pensiero espresso oggi in merito alle tecniche e ad una loro classificazione è il frutto di riflessioni continue e dell’apporto di altre menti. In tale prospettiva è stato pensato anche questo scritto, con l’augurio di incentivare lo scambio di idee e di poter offrire uno strumento operativo agli addetti ai lavori.
 
Riferimenti bibliografici
 
Canestrari C.,  Analisi del Dizionario delle «Tecniche conversazionali», in “Tecniche Conversazionali” n. 25, 2001a, pp.113-118. Riproposto con il titolo “Un primo «rapporto» sul Dizionario delle Tecniche Conversazionali” in S. Cesario e L. Filastò (a cura di) “Stelle fisse e costellazioni mobili”, Guerini Scientifica, Milano, 2002, pp.147-152.
Canestrari C., Trivio o quadrivio?, in “Tecniche Conversazionali” n. 26, 2001b, pp. 104-105.
Canestrari C., Era destino?, in “Tecniche Conversazionali” n.31, 2004, pp. 28-30.
Canestrari C., La tecnica autoreferente, in “Tecniche Conversazionali” in c.d.s.
Zuczkowski A. e Santarelli B., Comunicazione richiestiva e autonarrativa nei dialoghi quotidiani, in “Tecniche Conversazionali” n. 24, 2000, pp.52-61.



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