ATTUALITA'


I Lunedì dell’Accademia 2

La dieta



Rodolfo Sabbadini e Raffaella Penna

Daniela racconta che continua ad ingrassare perché si sente obbligata a finire tutte le pietanze che ha preparato. Se non lo fa, si sente in colpa perché “non bisogna sprecare il cibo”: è quanto suo padre le diceva sempre da bambina.

Nel seguente turno verbale Daniela offre la sua lettura di taglio psicologico.

Daniela: L’obiettivo mio è capire se effettivamente questa cosa qua può avere un’incidenza o non valere niente, cioè se è soltanto un’associazione che ho fatto io.  E se invece c’entra, e quindi fa parte anche della gestione delle emozioni, di un mio vissuto dentro e se sì, se è possibile gestirlo e come.

Estensione del riferimento

Il counsellor, da parte sua, propone un’estensione del riferimento.

Counsellor: È come se lui avesse lasciato delle tracce di sé, nel passato, che aleggiano, e ogni tanto tornano  da te, e ti .. ti fanno fare delle cose…

Ecco, secondo te, perché questa voce entra e ti fa mangiare tutto, che risultato ottiene? Qual è l’obiettivo della voce?

 

Seguito del colloquio

Il colloquio modifica il suo corso, e va a concludersi nella direzione delle forme della verità

Counsellor: Allora, innanzitutto abbiamo detto che è una voce che – in qualche modo – tu attribuisci a tuo padre …

Daniela: Sì

Counsellor: … che non appartiene più alla realtà attuale, quindi viene da un altro tempo. Non sappiamo ancora se l’obiettivo di questa voce è quello di non farti sprecare il cibo, oppure quello di farti ingrassare. Nel primo caso, non sprecare il cibo è l’obiettivo, nel secondo caso non sprecare il cibo è lo strumento. Questa voce ha campo libero quando tu sei stanca, quindi quando sei stanca sei portata ad ingrassare, quando invece sei in forma, sei presente e hai energia, riesci a respingere o a ignorare - più che respingere - …  a ignorare questa voce.

Daniela: Sì

Counsellor: Allora, nella tua situazione il problema si ridurrebbe soltanto al fatto di trovare un sistema per proteggerti quando sei stanca. Se le cose sono … sono così.

Daniela: Quindi, di fatto, devo trovare un modo per rispondere a questa, a questa presenza?

Counsellor: Sì. Inizialmente tu avevi detto – correttamente – che in qualche modo ti voleva far pagare qualche cosa.

Daniela: Rinfacciare qualche cosa.

Counsellor: Rinfacciare qualche cosa. Quindi è come se, tra te e lui, fosse aperto un conto. Per cui dovresti dargli qualcosa che non gli stai dando o non gli hai dato in passato. Sta rivendicando qualcosa nei tuoi confronti. Questa è una linea operativa, un’ipotesi che stiamo facendo.

Daniela: Ok, allora io dovrei trovare il modo per, o dargli quello che lui si aspetta, o mettere le cose in chiaro, verificando che effettivamente non gli devo niente.

Counsellor: Il problema è proprio una questione di richiesta. Dimostrargli che non gli devi niente è difficile.

 

Motivi narrativi

“Mangio tutto quello che avanza e ingrasso”

“Quando sono stanca sono vulnerabile”

“Quando sei debole devi trovare il modo di proteggerti”

“Mi sottometto ancora a mio padre come quando ero una bambina.”

 

Forme della verità

“Il padre scivola dentro Daniela con la medesima cattiveria (del padre) di quando era bambina.”

 “il compito di Daniela è quello di difendersi dalla voce che approfitta dei suoi momenti di debolezza”

 

Conclusioni

Un approccio psicologico, magari dell’Analisi Transazionale, in questo caso probabilmente avrebbe chiamato in causa nozioni come quelle di ingiunzione, di contro-ingiunzione e di programma,  riferendosi ai condizionamenti mentali che inducono Daniela a mangiare oltre il necessario. Nel counselling ci impegniamo per estendere la nostra indagine a tutto quanto di oggettivo possiamo rilevare dalle parole del Daniela, attenendoci tuttavia il più possibile al significato che le parole medesime esprimono, nei motivi narrativi e nelle forme della verità.

 

Riferimenti bibliografici:

Giampaolo Lai “Estensione del riferimento”, Glossario de “Slittamenti d’anima”, Aracne, 2019;

Giampaolo Lai “Tre fughe con ostacoli”, in Tecniche delle conversazioni, n. 1/2018, Aracne.

 

Sviluppi. Le parole di Daniela nell’incontro successivo

Devo dire che vedere la mia tentazione a mangiare il cibo anche senza appetito, fuori pasto, senza criterio, da questa prospettiva, cioè comandata da un agente esterno - mio padre - mi aiuta a fermarmi quando mi trovo a mettermi in bocca del cibo anche se non ho fame,  come se fossi guidata da un potere superiore. Adesso non so se questa cosa sia vera oppure no, ma il fatto di poter pensare che alcune azioni che io non voglio fare, di cui anzi riconosco l’insensatezza e la dannosità per me, ma che comunque mi trovo a fare, ecco poterlo attribuire ad una forza esterna in qualche modo mi aiuta a governarlo meglio. È come quando riesci finalmente a definire l’oggetto del problema, diventa una cosa concreta che si può affrontare. Non sono più in balia di una me stessa autolesionista ma ho un aggancio per poter governare qualcosa di esterno che posso fermare. Mi sento più potente da un lato e anche più attiva e quindi alla fine mi sono trovata molto spesso a non cedere a quel gesto istintivo ma anzi a dire no e riderci sopra, come se scoprissi il tranello e alla fine vinco io

 

Il verbale della riunione 

Incontro del 14 Dicembre 2020: La dieta

Partecipano: Giuliana Andò, Elena Capovilla, Rita Fioravanzo, Anna Ginella, Giampaolo Lai, Pierrette Lavanchy, Giorgio Maffi, Raffaella Penna, Silvia Pittini, Rodolfo Sabbadini.

Rodolfo Sabbadini introduce il testo del colloquio di counselling che sarà oggetto di discussione, richiamando brevemente alcune linee guida che caratterizzano il counselling drammaturgico.

Elena Capovilla è stata colpita dalla collaborazione evidenziata tra cliente e consulente, nel senso che la cliente sembra molto interessata al lavoro, come se fosse un gioco e, invece di promuovere una relazione di tipo competitivo, come spesso succede con le anoressiche, in questo caso ha visto un’ottima collaborazione, e il linguaggio – da parte di entrambi – le è sembrato sempre chiaro.

E’ stata poi colpita dall’atteggiamento di distanziamento dal problema, che ritiene fondamentale in una situazione del genere, affinché il problema non diventi il cliente. Lei, in questi casi, utilizza la tecnica dei battesimi e di trasformare il problema in un personaggio. In questo caso le sembra azzeccata la mossa di trasformare il problema nel padre di una volta, che consente di non colpevolizzare il padre attuale. In situazioni come questa Enena Capovilla utilizza la mindfulness, per fare prendere consapevolezza di sé alla cliente, ed evitare la reazione automatica.

Giorgio Maffi Evidenzia che all’origine dei comportamenti alimentari c’è senz’altro la voce che viene dal di fuori, ma c’è un altro elemento di rilievo, e cioè la presenza del sintomo come prezzo da pagare, che può valere anche per la psicoterapia.

Pierrette Lavanchy Ha preso in esame l’indice di riferimento del testo, cioè il rapporto tra nomi e verbi. Nel primo turno della cliente si rileva una presenza di sostantivi pari al 13% di tutte le parole, e di verbi pari al 22%, per un indice di riferimento del 0,6%, un valore molto vicino al valore medio, dello 0,5%, al di sotto del quale ci si avvicina all’alzheimer e alla depressione. Forse è una persona molto centrata su se stessa, sul suo pensare, e l’oggetto nuovo, questo padre che viene dall’esterno, l’ha portata a dare attenzione al mondo delle cose, ad un nemico esterno a sé. E, come la cliente dice, questo le fa bene.

Giampaolo Lai esaminando il testo da un punto di vista linguistico, e cercando i motivi narrativi che lo caratterizzano, ritiene che il motivo narrativo centrale sia quello del non mangerei quello che è sul piatto se non ci fosse la voce che mi obbliga a mangiarlo a tutti i costi. Questo motivo narrativo presenta un conflitto forte tra il desiderio di lei e l’ingiunzione di un oggetto esterno che è nominato come il padre di una volta.

Pierrette Lavanchy dice di essere stata affascinata dalla ricerca dell’obiettivo della voce: quello di non sprecare il cibo, un obiettivo cosmologico; quello di far ingrassare, molto più ad personam, che richiama il rinfacciare, l’ingratitudine, termine che la cliente non trovava e che fa fatica a ripetere; e infine quello di chiedere qualcosa in cambio dei suoi doni. La cliente ha contratto un debito e deve saldarlo in qualche modo. Poi le viene in mente il modo in cui salderà il debito, ma non lo dice.

Pierrette Lavanchy richiama l’immagine di un padre sceicco che si assicura il possesso della figlia facendola ingrassare.

Giorgio Maffi evidenzia come il counsellor sia riuscito suggerire alla cliente un modo per esprimere la propria gratitudine senza sottostare all’imposizione del genitore, in un quadro che sarebbe di conflitto. La figlia patisce l’influenza del padre. Però questa influenza può avere le sue ragioni dal punto di vista del padre. Gli rimane la curiosità di sapere che cosa abbia deciso di fare, la figlia, e chiede a Rodolfo Sabbadini se lui considera l’acquisizione di questa in formazione come all’interno o all’esterno del suo intervento.

Rodolfo Sabbadini conferma che conoscere il “come” la cliente abbia deciso di gratificare suo padre resta all’esterno del proprio intervento che si limita ad indicarle alcune ipotesi di gratificazione possibili da offrire al padre. L’obiettivo dell’intervento è raggiunto quando la cliente conferma di aver individuato una strategia che potrebbe funzionare nel suo caso.

Giampaolo Lai ritiene che sia importante sapere se ha smesso questo comportamento di aver paura di lasciare lì, nel piatto, quello che è eccessivo per il suo desiderio. Perché il problema è proprio quello: il desiderio che ha lei di lasciare nel piatto un po’ di roba e la volontà del padre che è invece quella che lei deve finire tutto quello che ha nel piatto. E’ proprio un conflitto tra padre e figlia, per cui la seduta è all’insegna del quarto comandamento “Onora il padre e la madre”. Se lei onora il padre e la madre continuerà a sottomettersi al padre che vuole che lei mangi tutto ciò che c’è nel piatto. Per accedere ad un altro comportamento di libertà verso il padre, bisogna che lei disonori il padre, e cioè che gli dica “No, non accetto la tua ingiunzione di mangiare contro il mio desiderio, e io mi fermo quando il mio desiderio non c’è più.” A suo parere il quarto comandamento è quello che regge tutta la seduta, ciò che dice la ragazza e ciò che dice la voce del padre.

Pierrette Lavanchy osserva che la cliente afferma che – in taluni casi – è riuscita a resistere alla voce, ma non è riuscita a dare continuità a questo comportamento di emancipazione, di disonoramento del padre. Il fatto che questo accada quando non è stanca, fa pensare che sia la forza a consentirle il comportamento di resistenza, e non il comportamento a renderla forte.

Rodolfo Sabbadini riferisce che il metodo drammaturgico è orientato ad interventi centrati sul mondo esterno piuttosto che sulla persona. Cerchiamo di portare tutto fuori dalla persona, con la storia e con il personaggio.

Giampaolo Lai sottolinea che è quanto cerca di fare il conversazionalismo quando ci sono figure di genitori morti, che scivolano dentro il paziente, obbligandolo a fare determinate cose, per esempio a vuotare il piatto. In quel senso, se la persona è un fantasma che non è presente, ti puoi ribellare, ma non è così facile neutralizzare un fantasma che scivola dentro di te e ti obbliga a fare certe cose.

Raffaella Penna crede che forse si potrebbe provare a rispondere a quella presenza come se fosse effettivamente lì. Nel caso della cliente di Rodolfo, nel momento in cui si accorgesse di mangiare sotto l’effetto di questa presenza, dirgli: “Non mi freghi più… ti ho scoperto… non mi fai più paura…”, così disonorandolo.

Giampaolo Lai ritiene che l’ipotesi di partenza è che una voce che viene descritta così è sempre ostile verso il sopravvissuto, quindi se cerchi di dialogare ragionando non ottieni nulla. Devi chiedere “Cosa posso fare perché tu non sia più arrabbiato?”. Se continui a disonorare il padre, che è lo scopo finale di mangiare quello che hai voglia di mangiare, il padre disonorato si arrabbia e continua a tormentarti. Bisogna che tu lo disonori senza che lui si arrabbi.

Pierrette Lavanchy crede che, per disonorare il padre senza che lui se la prenda, dovremo dargli una compensazione, un contentino.

Giampaolo Lai ritiene che si tratti di una situazione clinica con riferimento alla quale noi siamo interessati a sapere, da qui a sei mesi, se la cliente ha smesso di sentirsi obbligata a vuotare il piatto. Quello sarebbe il raggiungimento di uno scopo suo. Invece Rodolfo Sabbadini prescinde da questo risultato. In ambito clinico intendiamo risolvere il problema di questa ragazza che è quello di sottomettersi ancora al padre anche se il padre non c’è più. Può essere importante che Sabbadini spieghi qual è il progetto del counsellor.

Rodolfo Sabbadini ritiene che la differenza tra il progetto del terapeuta e quello del counsellor sia sostanziale. L’obiettivo finale, che egli si pone come counsellor o – comunque – quando decide di adottare questa tipologia di approccio, è quello di offrire una strategia di comportamento alla sua interlocutrice rispetto a un problema che porta; una delle possibili strategie che attualmente lei non vede. Gliene offre una, ed è tutto quello che si propone di fare nel corso del colloquio. Non si pone l’obiettivo di risolvere definitivamente il suo problema. Lascia a lei il compito di farlo. Come counsellor non si pone un obiettivo di cambiamento, ma offre una proposta di azione.

Giampaolo Lai ritiene che eticamente tutti siamo interessati a sapere se il sintomo del nostro paziente se ne va o se resta, mentre per il counsellor ci sarebbe questa relativa indifferenza …

Rodolfo Sabbadini precisa che – quando si pone come counsellor e non come psicologo – se ha occasione di vedere il cliente una seconda volta, ha piacere di sapere da lui che ha risolto il problema perché l’azione che hanno individuato insieme gli è stata utile per venirne fuori. Però, può capitare che il rapporto professionale si riduca ad un solo incontro, pertanto non si può porre obiettivi così ambiziosi. Il contributo che può dare nel ruolo di counsellor è quello minimale che può essere racchiuso nello spazio di un incontro. E tale contributo minimale consiste nel proporgli una strada, che prima il cliente non vedeva. Col che non si risolve il problema ma, anzi, può succedere che egli non ne venga fuori e debba chiedere un intervento di tipo diverso, che può essere – per esempio – un intervento di psicoterapia.

Elena Capovilla rileva che l’intervento di Sabbadini consiste, sostanzialmente, nell’indicare la strada da percorrere, mentre il cammino lo fa poi il cliente.

Rodolfo Sabbadini conferma quanto detto da Elena Capovilla, precisando che il counsellor si affianca al cliente per vedere insieme a lui, raccogliendo i dati portati, se riescono a trovare un filo che colleghi queste informazioni e prospetti indizi nuovi che possano accendere qualche varco di luce utile a costruire, anche in termini probabilistici, una narrazione attendibile. Si staccano dal particolare specifico del cliente, e dicono “in questi casi, in una situazione come questa, ipotizziamo che sviluppi ci potrebbero essere: pensiamone uno”.

Giuliana Andò ripensando all’indicazione di disonorare il padre, crede che sia difficile disonorare il padre, e si chiede che cosa vuole il padre, continuando a tormentare la figlia con l’input “Mangia. Non puoi lasciare nulla sul piatto!”. E che cosa può fare la figlia per bonificare il padre e renderlo benevolo nei suoi confronti? Ha, infatti, rilevato una rabbia della figlia nei confronti del padre che la perseguita, e una incapacità alla gratitudine. Sente di muoversi sul piano delle emozioni.

Pierrette Lavanchy è sembrato che si trattasse di un padre più afflitto che arrabbiato: “Prendi le cose che ti do, perché non le vuoi?”

Giampaolo Lai è molto interessato agli sviluppi del counselling drammaturgico perché riduce la psicologizzazione delle cose, fa sì che le cose siano messe su un palcoscenico, all’esterno, dove il conflitto avviene esplicitamente fra una voce, un’altra voce, un desiderio, un controdesiderio, e non deriva da una rimuginazione all’interno della persona. Quindi ritiene che i parallelismi tra il counselling, specialmente drammaturgico, e il lavoro dell’Accademia, in questa esternalizzazione delle cose, depsicologizzazione delle cose, vadano di pari passo.

Rodolfo Sabbadini ritiene fondamentali le parole di Giampaolo Lai. In tutte le sedi in cui ha occasione di parlare ribadisce che, per la Scuola di Counselling Drammaturgico, l’incontro con l’Accademia, gli insegnamenti dell’Accademia e di Giampaolo Lai hanno consentito un salto di qualità decisivo, che si può individuare nel passaggio dall’interno all’esterno: oggi, il counselling drammaturgico è impegnato a cercare risultati che non siano di cambiamento della persona, ma piuttosto risultati utili alla persona per come essa è.

Note di Silvia Pittini

L’oggetto del contendere tra padre e figlia pare la misura, il senso della misura e della sazietà.

“Chi la stabilisce? Chi o che cosa decide se la cliente è piena vs vuota?”: in questi termini sembra porsi la questione.

All’interno di tale dialogo conflittuale, la gratitudine assume la forma di un obbligo comportamentale: un’ingiunzione alla quale pare impossibile (o quasi) ribellarsi.

Si delinea, così, un dilemma amletico le cui polarità sono l’obbedienza vs la disobbedienza.

La cliente è sotto l’incantesimo paterno (e soggiace alle ingiunzioni della voce del padre) quando più stanca e suggestionabile. Diventa, invece, capace di un contro-incantesimo quando più presente e, con ciò, è in grado di governare agenti esterni ed estranei.

Il verbale della riunione del 14 dicembre 2020 è anche disponibile in allegato. Cliccare su "Scarica il documento"



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