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La curva della felicitá

Giampaolo Lai





La curva della felicità

Giampaolo Lai

Sul numero del New Yorker del 8 dicembre 2914 è apparso un articolo interessante di Robert J. Samuelson sulla tesi contro-intuitiva che la felicità, la sensazione di essere felici, si muove su una curva a U, dove il picco più basso è intorno ai 40 anni e poi comincia la risalita per toccare vette sempre più alte via via che un individuo avanza verso la maturità o addirittura la vecchiezza. C’è un rimedio per essere felici? Certamente: basta aspettare di diventare più vecchi. Una ricerca (National Opinion Research Center dell’Università di Chicago) ci dice che il 40% di americani al di sopra dei 65 anni si stima molto felice , “very happy”, in confronto con il 33% di americani tra i 35 e i 49 anni. Il ricercatore Jonathan Rauch, che è convinto della correttezza della curva a U della felicità, ha ora 54 anni. Quando aveva sui 40 anni, si sentiva sempre più oppresso da sentimenti di fallimento, anche se, vista da fuori, la sua vita era un successo continuo. E pure si sentiva un perdente. Ma poi, verso i 50 anni, il sentimento di buio e di tristezza cominciò a diminuire, malgrado alcuni soggettivamente dolorosi incidenti, come la morte dei genitori, la minaccia di licenziamento. Che cosa era successo? Una spiegazione che viene fornita è che i giovani idealizzano il futuro, hanno speranze molto alte, sono incapaci di regolare le loro emozioni. Conseguentemente vanno incontro a disillusioni continue, anche se procedono bene. Inoltre la loro vita diventa sempre più affollata di impegni, la carriera e i figli impongono sempre maggiori responsabilità. E avvertono alla fine una senso di perdere il controllo delle loro vite. Dopo i 50 anni, al contrario, le persone sentirebbero diminuire le loro responsabilità (ma è vero?); i figli abbandono la casa (ma è vero?); le ambizioni e i sogni giovanili se ne vanno. Dopo i 50 anni,le persone diventano,diventerebbero più realistiche o più rassegnate. Un’altra ricerca della sociologa Y. Claire Yang, (dell’università della North Caroline), suggerisce di prendere in considerazione, oltre alle specificità delle personalità, anche le generazioni. La ricercatrice ha trovato infatti che la generazione dei baby boomer (quelli nati tra il 1946 e il 1964, che attualmente avrebbero tra i 68 e i 50 anni) è meno felice rispetto alle altre generazioni. Probabilmente perché, le loro aspettative erano eccessive (extravagant). Poi occorre prendere in considerazione i cicli della vita. Una volta si parlava di depressione della mezza età, verso i 40 anni, quando guardando la vita intorno a te ti chiedi: “è tutto qui?”Dieci anni più tardi, invece, sembra che tu sia più portato a dirti: “In fondo va bene così: actually this it pretty good”. Non c’è bisogno di aggiungere che le condizioni economiche contingente e la crisi finanziaria attuale deprimono il sentimento di felicità.

Chi scrive, dall’alto dei suoi anni, condivide l’idea che per essere più felici conviene aspettare di invecchiare, senza dimenticare la propria madre quando diceva: “ah, la vecchiaia è una brutta bestia”. Quanto alla traiettoria verso la felicità mediata dall’avanzare degli anni, ha tuttavia l’impressione che non tanto di un percorso a U si tratti ma di un tragitto su di una linea retta, se guarda indietro la sua infanzia piuttosto chiusa e scontrosa, la sua adolescenza di studi e un po’ presa sul tragico, la sua maturità decisamente seria e monotona, seguita poi da anni più leggeri con ampie scorribande nel pensiero comico e avventuroso. Forse non a caso ha pubblicato La conversazione felice (presso Il Saggiatore,  Milano), nel 1985, quando aveva 54 anni. La tesi sostenuta nel libro era che importava, per lo psicoanalista, non tanto conoscere i pensieri inconsci del suo paziente, quanto realizzare una conversazione tra i due interlocutori che fosse per entrambi il più felice o il meno infelice possibile.





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