ATTUALITA'


Sostanze psichedeliche per guardare la morte in faccia

Tecniche psicofarmacologiche ma non solo





Sostanze psichedeliche per guardare la morte in faccia
 
Pierrette Lavanchy
 
 
Nell’articolo del New York Times del 20 aprile, “How Psychedelic Drugs Can Help Patients Face Death”, Lauren Slater si riferisce ad alcune ricerche statunitensi attuali secondo le quali la somministrazione di droghe psichedeliche quali la psilocibina, l’ecstasy, l’LSD, aiuta malati di cancro allo stadio terminale ad affrontare la morte, diminuendo l’angoscia e la depressione. Si tratta per ora di piccoli numeri (12 pazienti in un ospedale dell’Università di Los Angeles e 22 pazienti al Johns Hopkins Hospital di Baltimore, trattati con la psilocibina; 2 pazienti trattati con MDMA, ovvero ecstasy, all’ospedale della Harvard Medical School), ma esiste un’Associazione multidisciplinare di Studi Psichedelici (MAPS), che mira a legalizzare l’uso delle sostanze psichedeliche e ha ottenuto dal FDA l’approvazione per studiare l’ecstasy. Senza dimenticare il lavoro di uno psichiatra svizzero, Peter Gasser, che pratica psicoterapia sotto LSD (LSD-assisted psychotherapy).
Due situazioni vengono presentate nei particolari: quelle di una donna di 55 anni malata di tumore al colon con metastasi, e di una anestesiologa affetta da leucemia. Mentre nella prima l’angoscia era aumentata dopo il superamento dei 14 mesi di sopravvivenza prognosticata, nella seconda era aumentata in concomitanza con una fase di remissione. L’esperienza con la somministrazione di psilocibina, successivamente ricordata ed elaborata con l’équipe di ricerca, ha provocato nei due casi forti emozioni associate alla comprensione empatica dei sentimenti che i familiari provavano nei loro confronti. Appare aver consentito alle pazienti di “vedere le cose attraverso gli occhi degli altri” e di situare la propria esistenza al di là dei limiti stretti del sé biologico, in un contesto più esteso nel quale «la morte è solo parte di un processo, un modo diverso di essere». Al di là dell’effetto immediato, i benefici della somministrazione hanno durato mesi.
Se il risultato – la maggiore serenità al pensiero della morte – fosse confermato su grandi numeri, si potrebbe pensare (prima obiezione dell’autore dell’articolo) di generalizzare la somministrazione a tutti i casi in cui il pensiero della morte crea angoscia, con quali abusi è facile intuire. E poi (seconda obiezione), ci si sarebbe aspettati di ritrovare il medesimo effetto in tutti coloro che hanno fatto uso di sostanze psichedeliche cercando divertimento, a partire dai seguaci di Timothy Leary, autore negli anni 60 del libro The Psychedelic Experience, poi duramente condannato. Il che non è stato. Ma i ricercatori tengono a marcare le distanze. Si dichiarano “anti-Leary”, e si richiamano invece a Stanislav Grof, originario da Praga, come padre del metodo, anche lui costretto dalla legge ad abbandonare la sua ricerca degli anni 60. E precisano di operare in un ambito strettamente terapeutico, riservato a pazienti terminali sani di mente, in cui la depressione è esclusivamente legata alla morte incombente, con una procedura standard (double-blind, test prima e dopo, follow-up, seconda somministrazione a distanza di alcune settimane).
Da dove proviene la specificità dell’effetto? Ciò che la sostanza, in sé, ottiene è la disattivazione di una regione cerebrale, la corteccia cingolata anteriore, iperattiva nelle persone depresse, che integra i dati sensoriali e la percezione di sé. Il trip, o viaggio, indotto dalla sostanza, fa sentire  all’individuo che esiste qualcosa di più grande, un tutto al quale egli appartiene, dove è possibile l’amore, e tutto questo vissuto è percepito come  fortemente significativo. L’effetto specifico sulla paura della morte è attribuibile solo in parte alla sostanza. È legato pure a una preparazione (priming) del paziente, che attraverso le parole del ricercatore lo orienta a esplorare l’orizzonte della trascendenza. La somministrazione si svolge in un clima emotivo particolare, in una stanza chiusa ma ornata con motivi floreali, dove i pazienti vengono invitati a portare con sé qualche oggetto caro, e vengono muniti di occhiali scuri e di cuffie che trasmettono musiche “mistiche”. Abbiamo quindi a che fare con una procedura globalmente suggestiva, rinforzata dalle successive conversazioni con i ricercatori, che danno ai pazienti l’occasione di elaborare ulteriormente la loro esperienza.





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