L’ostinazione del soggetto
Introduzione al seminario del 12 novembre 2016
 

Il tema che abbiamo scelto per questa nostra giornata di seminario dell’Accademia è difficile sia da circoscrivere teoricamente, sia da trattare praticamente sul piano terapeutico. Il suo nome è l’ostinazione del soggetto. Con questo nome ci riferiamo a una situazione caratterizzata dal fatto che il soggetto si ostina a trattare i fatti in cui si imbatte come se fossero costruiti dai suoi pensieri e non dagli oggetti autonomi del mondo.

Il primo punto della nostra riflessione è il seguente. 1) Il mondo è pieno di oggetti. Il mondo è fatto di oggetti. Il mondo è un oggetto. Ogni uomo o donna o bambino, animale, pianta, roccia, è un oggetto. Pensate un po’ alla cosmogonia di Epicuro e di Lucrezio.

Il secondo punto è il seguente. 2) Ogni oggetto subisce colpi traumatici da ognuno degli altri oggetti che incontra, contro i quali va a sbattere, provocando a sua volta intorno a sé danni e disastri e traumi su qualsiasi oggetto che si presenti. Pensate a ciò che accade nelle famiglie, nelle aziende e sugli scenari bellici dell’attualità e del passato.

Ed ecco il terzo punto. 3) In mezzo a tutti gli oggetti del mondo, il soggetto è l’oggetto che prende l’iniziativa di dire ‘io’. Il soggetto esce dal novero degli oggetti che si scontrano con gli altri oggetti, diventando un soggetto attraverso l’azione verbale che afferma: ‘io ti colpisco’.

Durante il seminario daremo esempi clinici di ostinazione del soggetto. Qui rimaniamo per un po’ sul versante classico. Ricordate, a scuola ci insegnavano di Catone [1], il cittadino romano il quale, alla fine di ogni suo intervento al Senato, o alla fine di ogni suo sermone, di qualunque argomento trattasse, concludeva con l’esortazione: «Delenda Cartago, bisogna distruggere Cartagine». Era talmente abbarbicato al suo oggetto di pensiero – che Cartagine doveva essere distrutta –  da trascurare totalmente la questione se l’oggetto del mondo Cartagine continuasse a meritare, dopo anni e decenni, l’impegno di Roma in una guerra.

Un altro esempio, da tempi ancora più lontani, è quello di Coriolano, di cui ci parlano Plutarco, Tito Livio, e poi Shakespeare, e infine Ralph Fiennes in un film del 2011, Coriolanus. Coriolano [2], valoroso soldato sui campi di battaglia, e esperto condottiero, appartenente all’ala più oltranzista dei patrizi, quando sta per venire eletto console per meriti militari, rifiuta con caparbietà i consigli ripetuti e opportunisti della madre e dei commilitoni di chiedere i voti anche ai tribuni della plebe, che al contrario attacca con violenza, ottenendo il risultato scontato in politica di venire esiliato e poi ucciso con l’accusa di tradimento. L’arroganza ostinata di Coriolano lo costringe a vedere i plebei unicamente come oggetto correlato al suo disprezzo, e non come possibile oggetto autonomo e con il quale, per esempio, negoziare per accedere al consolato.

Questi atteggiamenti dell’Io psicologico dominano in tutta la nostra cultura occidentale, con il concetto della relazione fra intelletto e mondo esterno racchiusa nello slogan “adaequatio intellectus et rei”. Il che vuol dire in parole povere che la verità non sta negli oggetti, bensì nell’intelletto. Un esempio estremo di ragionamento dove il soggetto riduce alla sua verità la verità dell’oggetto ci è fornito dal paradosso di Zenone. Se il piè veloce Achille sfida la tartaruga a chi arriva primo al traguardo posto, mettiamo, a 100 metri, concedendo alla tartaruga il vantaggio, diciamo, di 50 metri, lasciando cioè la fuggitiva iniziare la sua corsa in anticipo, l’inseguitore non potrà mai raggiungerla. Perché «necessariamente, l’inseguitore [Achille] dovrebbe giungere prima là donde il fuggitivo [la tartaruga] è balzato in avanti; sicché necessariamente il più lento [la tartaruga] conserva una certa precedenza.[3]» 

L’esempio più diffuso in cui ci  troviamo tutti noi, terapeuti, psicoanalisti, conversazionalisti, è dato dal costume, che da Platone arriva a Freud, di trattare le immagini dei sogni come se fossero sempre e unicamente proiezioni dell’animo irrazionale, e non anche come oggetti che dal mondo esterno entrano nel teatro del sogno, come si trova in Omero e nella cultura classica greca.

Ma c’è però tutta una corrente filosofica attuale che va sotto il nome di realismo speculativo, il cui principale rappresentante è il filosofo francese Meillassoux[4], che ci aiuta a considerare gli oggetti del mondo esterno come entità autonome  rispetto al nostro intelletto e suscettibili per così dire di essere pensati senza la presenza di un soggetto pensante che li pensi. Per esempio, il geologo è capace di misurare e conoscere i resti fossili depositati nel nostro mondo ben prima che l’homo sapiens venisse ad abitare il mondo in questione.

Quali sono le conseguenze di tutto questo sul piano terapeutico? Mettiamo che un paziente faccia un sogno in cui sono presenti suo padre morto e sua sorella, la quale si butta dalla finestra. Se lo interpretiamo alla maniera classica psicoanalitica, aiuteremo il paziente, regista del proprio sogno, a liberarsi dal senso di colpa suscitato dalle fantasie omicide realizzate nel teatro onirico. Se invece riconosciamo alle immagini del sogno il loro statuto di oggetti autonomi che entrano nel sogno di loro iniziativa, cominceremo a interrogarci, insieme al sognatore,  sul perché il padre è venuto a trovarlo, identificando magari questo perché nella pretesa del padre di venire a prendere la sorella del paziente (sua figlia) per portarla con sé nell’aldilà. Intanto, così facendo, non si fa più leva sul senso di colpa del paziente. I passi successivi saranno dettati dallo svolgersi della conversazione sulla Piazza del Mercato, centrati su oggetti autonomi, che si muovono secondo le loro iniziative e non più sui rimuginii introspettivi della colpa.

 

[2] Plutarco, Vite parallele. Alcibiade e Coriolano; Tito Livo, Ab Urbe condita libri, Lib II, par. 33; William Shakespeare, Coriolanus; Coriolanus, film diretto e interpretato da Ralph Fiennes nel 2011.

[3] Aristotele, Fisica, libro 3, 239 b 14; ma vedi tutto il libro 3 sul movimento.

[4] Quentin Meillassoux, Après la finitude. Essai sur la Nécessité de la Contingence. Préface d’Alain Badiou, Coll. L’ordre philosophique, Paris, Le Seuil 2006. Trad. ingl. di Ray Brassier, After Finitude. An Essay on the Necessity of Contingency, Continuum, London 2008. Trad. it. Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza, Mimesis, Sesto San Giovanni 2012.

 

 
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