L’ipotesi spiritualista.
Pierrette Lavanchy
 
L’ipotesi spiritualista
 
Pierrette Lavanchy
 
 
Giunta al suo venticinquesimo anno di esistenza, Tecniche conversazionali, la Rivista dell’Accademia, si arricchisce di uno spazio nuovo, L’angolo filosofico, curato da Davide Assael che accogliamo con piacere tra i nostri collaboratori. Affidiamo a questa rubrica il compito di trattare, dal punto di vista e con gli strumenti della filosofia, temi fondamentali che incontriamo nella riflessione sulla nostra pratica conversazionale; per esempio i concetti di significato, di verità, identità, libertà, conoscenza, trascendenza. Iniziando la serie, si è imposto per la sua pertinenza il body-mind problem, cioè l’argomento del rapporto tra mente e corpo, tra spirito e materia, tra realtà immateriale e mondo sensibile, che è proprio al centro delle manifestazioni di cui ci stiamo occupando sotto il nome di “ritorno dei morti” e che formano il tema principale di questo numero.
“Il ritorno dei morti” era appunto il titolo del Seminario dell’Accademia del marzo scorso a Milano, nel quale abbiamo esaminato il fenomeno delle similitudini tra patologie dei viventi e malattie dei loro antenati defunti, mettendo da parte i pregiudizi naturalistici, psicologici e biologici, per allargare il campo all’ipotesi spiritualista della possessione. Si tratta di una ricerca in corso, ripresa e ampliata a Parma il 25 maggio scorso con la Scuola di Psicoterapia Conversazionale, ricerca che ispirerà pure il prossimo Seminario di Milano, in programma per il 9 novembre p.v.
Se compare in una persona un sintomo che ripete o richiama un sintomo analogo apparso a suo tempo in un genitore ora defunto, si può certo vedere il fenomeno come un’impronta genetica o interpretarlo in termini psicologici come una forma d’identificazione, ma si può anche formulare l’ipotesi di una permeabilità del vivente alla presenza del genitore morto, tornato per comunicargli qualche cosa attraverso il sintomo somatico. L’ipotesi spiritualista, estranea al pensiero illuministico di cui siamo impregnati, consente, quando viene accolta, di dare riconoscimento pure a credenze e pratiche altrimenti relegate nell’ambito della superstizione e considerate indegne di indagine. Di queste pratiche è esempio, nei Resoconti tecnici, il «Dialogo nella terza dimensione», di Grazia Dell’Oro, presentato al Seminario di marzo, in cui una donna parla dei suoi scambi con i nonni defunti. Le altre relazioni e il dibattito sono pubblicati nella rubrica Il Seminario, mentre le riflessioni dei partecipanti ricevute nelle settimane successive sul tema del ritorno dei morti sono ospitate nelle Conversazioni con i lettori. Segnalo in particolare «Immanenza e trascendenza nel ritorno dei morti», di Azalen Tomaselli e Giampaolo Lai, che fa risaltare le diverse interpretazioni degli esempi forniti. Ancora sull’argomento dei sintomi somatici e della difficoltà di accedere ad essi attraverso la parola troviamo l’articolo di Marco Piccinelli, «Quando i fatti hanno bisogno delle parole» e, per quanto riguarda l’esorcismo, la mia recensione al libro di Francesco Vaiasuso e Paolo Rodari, La mia possessione. Infine, in un’altra direzione di ricerca, l’analisi conversazionale ha ispirato uno studio originale di Cristina Cocchi sulla comunicazione all’interno di un complesso ospedaliero, «La consapevolezza nel clima lavorativo».
 
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