La depsicologizzazione del testo teatrale
Prefazione di Giampaolo Lai al nuovo libro di Rodolfo Sabbadini - Il metodo drammaturgico nella relazione di counselling
 
La depsicologizzazione del testo teatrale
Giampaolo Lai
 
Il metodo drammaturgico nelle relazioni di counselling appena dato alle stampe da Franco Angeli completa il trittico di Rodolfo Sabbadini che vede nella pala di centro il suo capolavoro, Manuale di counselling, del 2009, e nelle pale di destra e di sinistra rispettivamente Professionistattore del 1993 e, per il 2012, il nuovo saggio, appunto, Il metodo drammaturgico nelle relazioni di counselling. Basta prendere in mano i tre libri che compongono il trittico per cogliere il filo logico e linguistico della ricerca di Sabbadini negli ultimi venti anni, condotta nel nome del teatro. La casa del teatro compare infatti esplicitamente nei due titoli della pala di destra e di sinistra, che presentano l’attore e la drammaturgia, e, visivamente, nelle maschere del teatro greco che illustrano la copertina del libro di centro. Perché questo è importante? È importante per due ragioni. Prima di tutto perché il futuro lettore è subito avvertito che invece di persone incontrerà personaggi, che invece di viaggi rivelatori dentro l’anima di un individuo particolare, del resto nascosta dietro la maschera, si imbatterà in azioni che si intrecciano intorno a casi universali, quello del personaggio Priamo che passa dalla felicità all’infelicità, quello del personaggio Amleto che il troppo pensare rende incapace di agire, quello di Antigone che trasgredisce le leggi della città per ubbidire alle leggi del sangue. E poi perché, ma l’abbiamo appena ora detto, sia pure in altri termini, perché la posta in gioco non sarà l’oggetto naturalistico della psicologia, come dire la conoscenza del funzionamento psicologico, bensì l’oggetto convenzionale delle azioni verbali, azioni che legano una persona a un’altra, un mercante a un altro, come Amleto a Ofelia così Antigone a Ismene, come Romeo a Giulietta così lady Macbeth al marito che non era uguale a lei. 

Ma che cosa c’entra tutto questo ragionamento con la pratica del counsellor diretta sui clienti che al counselling si rivolgono spinti dai loro debiti accumulati per non sapere che cosa fare con un datore di lavoro inaffidabile, con un capufficio velleitario, con un gruppo di collaboratori neghittosi? C’entra, come c’entra il fatto che le procedure che seguono metodi differenti nel lavoro con le persone producono risultati differenti sull’agire delle persone medesime e intorno a loro. E si tratta di procedure e metodi che hanno subito rimaneggiamenti, rivoluzioni o modesti aggiustamenti, ritorni indietro, colpi di coda, non solo negli ultimi decenni ma per almeno due secoli. Basti pensare alla logica e alla psicologia.   
La logica e la psicologia sono state le due grandi discipline che, nel corso dell’Ottocento, hanno cercato di spiegare il funzionamento della persona, ciascuna a suo modo e secondo le proprie regole, anche se con contaminazioni reciproche, piuttosto però dalla psicologia alla logica, mentre la logica dal canto suo si muoveva verso una matematizzazione sempre più spinta delle sue formulazioni. Nel Novecento, le due discipline hanno seguito destini diversi, essendo state comunque messe in ombra, relativamente al progetto di spiegazione della persona, per un lungo periodo, dall’irruzione della psicoanalisi. Mentre frattanto per le spiegazioni dell’universo si affermavano i due modelli, prima della relatività, e poi il Modello Standard, sostanzialmente meccanicistici, né logici né psicologici quindi. Ben presto tuttavia, anche la psicoanalisi si è lasciata contaminare dalla psicologia, sia dall’interno, nella forma esplicita della Psicologia dell’Io, o nella forma ambigua del lacanismo, sia dall’esterno, con le formulazioni della psicologia cognitivista, fino agli attuali tentativi di fusioni con le neuroscienze.
Le discipline linguistiche introdotte successivamente sulla scena della psicoanalisi e della logica non hanno sostanzialmente modificato i paradigmi delle due discipline, e comunque si sono lasciate di fatto assorbire dall’approccio psicologico. Oppure hanno seguito la deriva della semiosi illimitata assieme alla quale, ogni segno rinviando a un segno successivo all’infinito, hanno perduto l’aggancio pratico del significato agli oggetti concreti.
Ci sono state però due eccezioni interessanti che, coniugando gli apporti della filosofia del linguaggio comune e delle teorizzazioni logico matematiche dell’economia, hanno contribuito all’affinamento della depsicologizzazione. Queste sono il conversazionalismo a Milano, e, a Torino, il counselling nella elaborazione rigorosa di Rodolfo Sabbadini. Sia il counselling, nelle mani di Sabbadini e dei suoi collaboratori, sia il conversazionalismo, specialmente nella sua versione attuale di bilateral verbal trade, del mercato bilaterale di parola, hanno imboccato decisamente la strada della logicizzazione del testo, e quindi della sua depsicologizzazione, centrando la ricerca sulle parole scambiate tra due interlocutori in azione, tra counsellor e cliente, tra trader compratore, alias paziente o analizzante, e trader venditore, alias analista. Sono le parole che vengono dette dal cliente dalle quali il counsellor estrae il motivo narrativo, la forma extrasensoriale generale, da restituire al cliente, senza la pretesa di cambiare la psiche o la mente del cliente stesso, ma al fine di aiutare il cliente a riformulare il suo problema nei modi più astratti, generali e universali possibili, che abbiano poco o nulla a che fare con gli accidenti della aneddotica contingente. Sono le parole che vengono dette dal trader compratore dalle quali il trader venditore ricava, non qualche ipotesi sul funzionamento della mente del trader compratore, ma la sua domanda, in senso specifico di domanda di mercato, con il progetto di vedere se il trader venditore può proporre una offerta che soddisfi questa domanda.
Come in una contrattazione di lavoro non interessa tanto conoscere la psicologia di un Marchionne, se è costruita sullo spirito di riscatto di un emigrante, o quella di una Camusso, se è determinata da una incompiutezza di rivendicazione femminista, quanto le leggi dei reciproci rapporti tra impresa e sindacati sulla piazza del mercato sociale, così a Sabbadini non importa poi molto l’aneddoto della vicenda storica di quel particolare manager in rotta di collisione con il suo CEO, ma interessano moltissimo le leggi generali nelle quali si iscrivono le frasi e le parole che il cliente ha rivolto al counsellor e che il cousellor ha trasformato in motivi narrativi universali. Diversamente dallo psicologo, come pure dallo storico o dal memorialista, che provano a descrivere, in una prospettiva naturalistica, come sono andate veramente le cose per quella particolare e determinata persona, e per nessun’altra, il counsellor, attraverso la messa in scena teatrale ispirata a questi motivi narrativi, calcola la probabilità delle cose che potranno accadere in un possibile futuro sia alla persona in questione, sia a tutte le persone che prima e dopo di lei hanno detto o diranno le parole che si iscrivono in un motivo narrativo dettato dalle medesime leggi. Per cui possiamo dire che nell’incontro tra cliente e counsellor, il testo del cliente si situa nella intersezione tra la contingenza concreta dell’individuo unico e l’universalità della legge distillata nel motivo narrativo valido per tutti.  
Questo libro di grande utilità pratica e di profonda portata filosofica s’indirizza non solo agli operatori che, agendo nel terreno incerto tra la psicoterapia e la relazione di aiuto, trovano nei rigorosi principi del counselling fissati da Sabbadini un punto di riferimento preciso, ma anche agli studiosi delle idee e agli epistemologi che possono rintracciare, nella posizione indicata dal libro, una via che porta fuori dal naturalismo psicologico per approdare alla pratica dell’azione verbale.  
 
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