Il debito e la domanda
Una riflessione di Giampaolo Lai
 
Il debito e la domanda
 
Giampaolo Lai
 
 
Gli studiosi di economia sono divisi nel loro tentativo di spiegare l’attuale quasi stagnazione del mercato americano. Alcuni la attribuiscono all’alto debito. Altri invece la fanno derivare dalla flessione nella spesa da parte dei consumatori. Altri infine la connettano al tasso a due cifre dei disoccupati, alla mancanza di lavoro. Non sempre le ragioni delle connessioni tra queste tre variabili, alto debito, flessione nella spesa, disoccupazione, appaiono chiare, anche se intuitivamente si tratta di legami evidenti. Conseguentemente, interrogandosi sui fattori possibili per favorire la ripresa, alcuni pensano che non ci sarà finché i consumatori non ritorneranno a comprare. Altri ritengono che la ripresa avverrà solo dopo che la disoccupazione sarà diminuita. L’autore dell’articolo che stiamo riassumendo, The deleveraging myth, James Surowiecki, sul New Yorker del 14 novembre 2011, sembra avere una sua idea sul come uscire dalla difficoltà. Fin dal sintagma del titolo deleveraging, da lever, ‘leva’, e da leverage. Il termine leverage (tradotto da ‘leva finanziaria’) significa la capacità di influenzare persone o aziende di un mercato in modo da controllarne e dirigerne il comportamento. La leva, lever, può essere rappresentata nella forma più semplice e immediata dall’uso di danaro prestato (mettiamo dallo Stato o dalla Federal Reserve) per investirlo là dove manchi. Quando il leverage conduce o sembra condurre a un eccessivo rischio per via dell’aumento del debito, l’azienda o la persona esposte possono pensare a un cammino inverso a quello del leveraging, cioè tentare di ridurre il leverage finanziario (la leva finanziaria). In definitiva, passare dal leveraging al deleveraging è un po’ come passare dalla regolazione alla deregolazione del mercato, da Keynes a Friedman. Secondo James Surowiecki, la deregolazione, il deleveraging, come il titolo del suo articolo dice in apertura, è un mito che fa più danni di quanto non produce vantaggi. Infatti il suo auspicio è che per favorire la ripresa (negli Stati Uniti) occorre che il mercato dell’esportazione e specialmente il governo facciano ciò che i consumatori non possono fare. Insomma, che diano soldi a chi non ce li ha. Ma non sembra anche questo un altro mito? 
Sulla Piazza del Mercato di Parola, quando il mercato va male, quando accade un bad trade, in qualsiasi modo si configuri, stagnazione, inflazione, recessione, il trader venditore, responsabile dell’andamento del mercato, non ha a disposizione un Prestatore di ultima istanza, come è la Federal Reserve, negli USA o la Bank of England per il Regno Unito, o la Banca del Giappone (o la Banca d’Italia prima dell’ingresso nell’Euro) che possa finanziarlo. Conseguentemente, se il trader venditore vuole evitare la bancarotta o la continuazione del bad trade, per accedere a un fair trade può contare solo sugli investimenti che fa dei suoi propri beni di parola da lanciare sul mercato. Il trader venditore in definitiva è il Prestatore di ultima istanza nella Piazza del Mercato. Ciò che accade sulla Piazza del Mercato sembra muoversi piuttosto sul deleveraging, che però non è un mito, come pensa James Surowiecki bensì un fatto, dal quale spesso il trader compratore e il trader venditore, sia nelle situazioni di psicoanalisi che di counselling, realizzano le loro legittime speranze di guadagno.
Ricordiamo la formula della speranza di guadagno utilizzata nella Piazza del Mercato di Parola: P(c—Üs, d, I) = . Si tratta di una formula probabilistica aperta che si legge: ‘qual è la probabilità, P, che il trader venditore ottenga un fair trade, c, in presenza di un bad trade, s, se lancia un incentivo, d, basandosi sullo stock di conoscenze finanziarie, cioè di beni di parola, di cui dispone’.
L’esercizio che stiamo tentando è di stabilire un’analogia formale tra ciò che sta accadendo nella Piazza del Mercato di Parola e nella Piazza del Mercato Finanziario. Ciò che accade nei Mercati Finanziari, in occasione di leveraging, cioè di ricorso alla leva finanziaria sostanzialmente sotto forma di prestiti per fronteggiare un bad trade, oppure di deleveraging, cioè di disinvestimento della leva finanziaria, si ritrova si direbbe analogicamente nei Mercati di Parola. Prima di procedere oltre nella analogia, occorre subito dire che, a prima vista, una differenza radicale tra il Mercato di Parola e il Mercato Finanziario sta in questo, che il Mercato Finanziario è fatto da tre attori: il trader venditore, il trader compratore e il Prestatore di ultima istanza, mettiamo la Federal Reserve, che tipicamente presta assets, beni finanziari, al venditore in un bad trade, per evitare l’incombente collasso. Mentre il Mercato di Parola è fatto da due attori, il trader venditore e il trader compratore. Come abbiamo detto, non c’è un Prestatore di ultima istanza che protegga il trader venditore, mettiamo psicoanalista o cousellor, in un bad trade. Il trader venditore ingolfato in un bad trade sulla Piazza del Mercato di Parola può attingere unicamente allo stock di beni propri, e ai beni di parola che gli lancia il trader compratore.
Tuttavia, nel curriculum abituale, sia dello psicoanalista, sia del counsellor, la fase iniziale del trader venditore è caratterizzata, oltre che dalla sua attività sulla Piazza del Mercato con il suo cliente trader compratore, anche dal riferimento, esterno alla Piazza del Mercato, a un supervisore. Il supervisore svolge esattamente la funzione di Prestatore di ultima istanza, al quale il venditore in training si rivolge nella speranza di un doppio guadagno: un guadagno epistemico, nella fattispecie della conoscenza delle mosse da compiere nella circostanza di un mercato difficile, e un guadagno pratico, nella fattispecie di una rassicurazione della sua ansia a fronteggiare un mercato difficile.
 
Chiudi