Baratto di corpi
Giampaolo Lai
Summary
Our thesis. The fashion street is not an abstract sign denoting something else, for instance the dawn of modern woman or the beginning of the affluent society, as the epistemic theory of structuralist semiotic sustains. For us, the street fashion is a form of action performed by a concrete individual woman showing her body in exchange with another wanting body in the market place, as the practical theory of bilateral verbal trade maintains. |
Tav. 1. Our thesis on street fashion. |
The fashion world has dominated some important cultural and economic aspects of our life in the last fifty years.
The most influential contribution to the study of fashion has been offered by semiotics, the science of signs in the form of the French structuralist linguistic.
From this point of view, fashion is a system of signs, exactly like a language, though for fashion the sign is a non-verbal sign, while for language the sign is a verbal one. Like the verbal language, the fashion language ‘says’ something to all people, communicates, teaches, allows to know, predict or mirror, the fluctuations of political or economical climate in the world, from dark years to light periods, from liberty to cultural oppression. This knowledge is transmitted through the clothes code, a system of rules that convert a non-verbal sign in the fashion world, for instance a miniskirt, in another sign, verbal or not verbal, for instance the affluence in the monetary world.
But, notwithstanding the appeal of semiotics discourse applied to fashion, there are two shortcomings in this fashion theory. The first. In the structuralist model a sign – and clothes are intended as signs – a sign has no meaning in itself, but has it only insofar as it stands for something else, for example the subprime crisis. From this point of view a woman wears no concrete clothes but abstract signs. Therefore the clothes, the first thing that obviously matters in fashion, disappear from the fashion theatre. The second shortcoming. From the structuralist point of view the fashion world appears as the scene of a theoretical science, the aim of which is the communication of knowledge and the discovery of truth, for example if it is true or false that the proximity of the skirt hem from the buttock is a sign of prosperity or of recession. To us it appears instead as the scene of a practical science, where a girl, not a sign, performs the act of wearing a dress, which covers or discovers parts of her body, in order to show a body who is in fact what matters in the market place of fashion.
In the second part of this paper we sustain the point of view that fashion is the act performed by a girl of showing her body in the market place of fashion, aiming at some expected utility, and we support our endorsement on the basis of bilateral verbal trade theory. Key words: fashion; semiotics; verbal signs and non-verbal signs; fashion as a theoretical science or as a practical one; fashion as a path for knowledge or as a way of performing actions.
Premessa
La moda dell’abbigliamento femminile è un fenomeno che negli ultimi decenni ha permeato e dominato la vita culturale e economica specialmente in alcuni grandi città come Milano, Parigi, Londra, New York, Hong Kong. Disegnatori, industrie manifatturiere, editori di riviste, boutiques, modelle, hanno alimentato un vorticoso giro di miliardi intorno alla moda, allo stile nell’abbigliamento, al modo di comportarsi relativamente ai vestiti da indossare di gruppi di persone sia nella strada, sia nelle occasioni di vita di ogni giorno, sia in circostanze rituali come il teatro, i matrimoni, i funerali, il lavoro negli uffici.
Il fenomeno della moda sembra avere questo di particolare agli occhi dell’osservatore, che scoppia all’improvviso, in gruppi speciali e ristretti e definiti quanto all’età tra i 15 e i 30 anni, senza che niente apparentemente nel comportamento vestimentario precedente lo annunci, che dura in genere una stagione e non si ritrova più nella stagione successiva sostituito da un’ondata nuova altrettanto imprevedibile della precedente.
Per esempio, dall’inizio dell’estate 2011 a Milano si è assistito a un’esplosione di offerta allo sguardo dei passanti di seni e gambe di fanciulle mai verificata negli anni passati. Per strada, in metro, negli autobus. Lo scorso anno quando uscivo di casa in luglio salutavo la giovane sostituta del portiere guardandola negli occhi e augurandole buongiorno. In questi due ultimi mesi, luglio e agosto, quando esco di casa e saluto ancora la medesima giovane donna seduta dietro il vetro della portineria, il mio sguardo precipita naturalmente sui seni completamente esposti, dai quali mi affretto a distoglierlo immediatamente onde evitare accuse di stalking – in questi tempi non si sa mai. |
Tav. 2. Uno spicchio della moda in strada a Milano nell’estate del 2011. |
La moda è cambiata quest’anno rispetto all’anno scorso. Nel modo abituale, imprevisto e imprevedibile. Si è diffusa come sempre con l’andamento di un’epidemia, con le modalità bene descritte da Malcom Gladwell nel suo libro fortunato
The tipping point,
Il punto critico[1], seguendo la logica di una catena markoviana
[2] che appare in controtendenza rispetto alle leggi dell’evoluzione. Le camicette, o magari si chiamano top, sono aperte fino all’attaccatura delle ultime costole allo sterno. Le gambe invece escono intere da pantaloncini, non da minigonne come la scorsa estate. L’effetto sullo sguardo è decisamente spostato a favore del décolleté, mentre lo scorso anno era a favore delle minigonne. C’è una differenza tuttavia nello sguardo dello spettatore. Lo scorso anno, con le minigonne, gli occhi si fermavano, per quanto in alto, tuttavia conservando l’idea di poter guardare oltre fino all’oggetto oscuro del desiderio (nel modo del
touch and go). Quest’anno, con gli occhi aperti sui due seni interi, viene espunta l’idea di guardare oltre verso l’oggetto chiaro del desiderio già completamente in bella mostra. Quando agli shorts l’idea di procedere oltre è bloccata dai bottoni, nel modo del
locked out.
Perché? Che cosa vuol dire? Quali sono le ragioni che determinano il tipping point, il punto critico di passaggio da un prima che non lascia prevedere il dopo, a un dopo apparentemente senza connessioni causali con il prima? Chi determina, se non la moda in generale, quanto meno i fenomeni della moda in ogni stagione? Chi sono i suoi iniziatori, i trasmettitori, prima di arrivare all’utilizzatore finale, la donna che indossa il capo alla moda in questione, diventando poi a sua volta connettore del fenomeno, nel senso di ricettore e poi diffusore, come in un’epidemia?
Si capisce immediatamente come la risposta possa essere anche profondamente differente a seconda del punto in cui ci si ferma della catena che sfocia nella fanciulla o nel gruppo di fanciulle che portano il capo alla moda, partendo dai consigli di amministrazione delle grandi case di moda, Armani o Prada o Moschino, ai geniali disegnatori, ai produttori di tessuti, all’industria cinematografica, all’editoria delle riviste di moda. Ma nell’impossibilità di accedere alle molteplici regioni del cammino della moda, e per restringere il punto di vista sul fenomeno agli accadimenti ordinari, ci occuperemo delle portatrici visibili del fenomeno della moda, e cioè le donne che indossano il capo alla moda durante le occasioni visibili della vita di ogni giorno.
Le ricerche sul fenomeno della moda
Occorre distinguere, tra le ricerche che sono state svolte sul fenomeno della moda, due grandi filoni. Le indagini del primo sono mediate dalla domanda della Tav. 3:
Che cosa vogliono dire gli abiti indossati dalle portatrici di moda? |
Tav. 3. La moda come segno di qualcos’altro. |
L’ipotesi di partenza in questa prima posizione di ricerca, si vede subito, è che la moda è un segno, e del segno ha l’aspetto essenziale, cioè di rinviare a qualcos’altro, di significare un’altra cosa da quella che appare (‘uscire con una ragazza non vuol dire esserne fidanzato’), come un segnale (‘il semaforo verde è segno di via libera’), o un sintomo (‘il battito cardiaco elevato è segno di febbre’), o un’indicazione, o un simbolo, o una rappresentazione, o una traccia (‘questi segni sulla neve vogliono dire che è passato un cane’), o una comunicazione (‘far segno col dito di tacere’).
Le indagini del secondo filone sono invece mediate dalla domanda della Tav. 4:
Che cosa fanno le portatrici di moda indossando i loro abiti alla moda? |
Tav. 4. La moda è una forma di azione. |
Diversamente dal primo filone di indagini, l’ipotesi di base in questo secondo filone di ricerca è che la moda è una forma di azione, nel senso che indossando un capo di moda una donna non tanto comunica, indica, suggerisce, insegna, rappresenta, segnala, qualcosa a qualcuno quanto piuttosto compie un’azione nei confronti di qualcuno.
La prima ipotesi è all’interno della teoria dei segni, in particolare della semiotica o della linguistica strutturalista. La seconda ipotesi è invece all’interno della teoria della azione, e in definitiva, per quanto ci riguarda direttamente, del
bilateral verbal trade[3], cui accenneremo più avanti.
La moda come segno
Bastano pochi titoli per situare il fenomeno della moda sullo sfondo della teoria dei segni, della semiotica. Il primo, più esplicito,
Fashion as communication di Malcolm Barnard del 1996
[4]; il secondo
Le système de la mode di Roland Barthes del 1967
[5]; il terzo, inequivocabile,
The language of clothes di Alison Lurie del 1981
[6]. La moda dunque, in quanto segno, ci dice chi sono le persone, le donne per semplificare il discorso, che portano abiti secondo la moda, ce lo insegna in una sua precisa funzione didattica, a quale gruppo appartengono, se si adeguano al gruppo o se al medesimo gruppo si ribellano, ci dice dove stanno andando, se a un incontro informale o a una riunione sofisticata, se a scuola o in ufficio o a svolgere il compito di infermiera in un ospedale o di hostess in un aereo. Non solo, ma in maniera più impressionante, la moda ci informerebbe delle oscillazioni dei mercati, dell’ingresso in una rivoluzione o della fine di una guerra, del crollo di una cultura di repressione e dell’avvento di una leggera indipendenza
[7]. Come può dirci tutte queste cose la moda?
In verità, non essendo una lingua, una lingua verbale, la moda non dice niente. Essendo costituita da una serie di oggetti visibili, semplicemente si mostra. Si mostra sotto forma di colori, fogge, tagli, abbinamenti. È l’osservatore, o lo studioso, della moda a stabilire che l’oggetto alla moda indossato da una donna non è una cosa in sé, ma un segno, non una cosa che si esaurisce nel suo essere quello che appare, per esempio un velo nero sulla testa di una donna che entra in una Chiesa, ma un segno che orienta verso altro, come il fazzoletto della signora diventa un segno di rispetto per il luogo sacro in cui si reca.
Occorrerebbe tuttavia tener presente una distinzione che ognuno di noi fa. Se è vero che tutti i linguaggi verbali sono costituiti da un insieme di segni, non tutti gli insiemi di segni costituiscono un linguaggio verbale (Tav. 5). I sistemi di segni eccedono i sistemi di segni verbali. I sistemi di segni verbali sono un sotto-insieme del sistema dei segni.
Tutti i linguaggi verbali sono costituiti da un insieme di segni. Non tutti gli insiemi di segni costituiscono un linguaggio verbale. |
Tav. 5. Segni verbali e segni non verbali. |
I segni del linguaggio in senso ordinario, i segni verbali del linguaggio umano, sono vocali, consonanti, parole, frasi. A partire dalle lezioni di de Saussure, alle quali comunque tutti i semiologi della moda si rifanno, di ogni segno verbale si distingue canonicamente la parte sensibile, presente, la parola detta o scritta, chiamata significante, dalla parte assente, alla quale il significante rinvia, chiamata significato. Tra queste due parti del segno, tra significante e significato, sta una relazione chiamata di significazione, che è una sorta di notificazione del significato (Tav. 6).
Tav. 6. La relazione tra significante e significato è retta dalla significazione. |
Tuttavia, gli studiosi di moda del filone semiotico, che prendono correttamente la moda come un segno, secondo la Tav. 3, poi, ma questa volta arbitrariamente, trattano e chiamano la moda come un linguaggio, applicando a piè pari al fenomeno della moda i termini e i concetti della linguistica strutturale di De Saussure, quali significante, significato, significazione.
La teoria cibernetica della comunicazione[8] e la teoria linguistica strutturale della significazione[9]
Ci sarebbero molte buone ragioni per mantenere separato il sistema dei segni verbali del linguaggio rispetto a altri sistemi segnici non verbali , come quello della moda (Oswald Ducrot e Tzvetan Todorov,
Dictionnaire encyclopédique des sciences du language, 1972, Paris, Edition du Seuil).
[10] È vero, sia l’insieme dei segni non verbali della moda (e anche delle api, delle formiche) sia l’insieme dei segni verbali del linguaggio hanno in comune la proprietà di alludere a qualcosa d’altro. Non solo, ma in entrambi i sistemi di segni, quello verbale e quello non verbale, ogni segno prende il suo valore, anzi, assume la sua realtà, dall’insieme dei segni in cui si trova inserito, che lo precedono e lo seguono, nell’organizzazione o sistema o struttura che lo determina. Tuttavia, il criterio che stabilisce il collegamento tra segno verbale e suo riferimento è la significazione, il certificato del significato, la notificazione del significato (vedi Tav. 6). Mentre il collegamento tra segno non verbale (un abito di moda) e il suo riferimento è un codice, cioè un insieme di costrizioni, di regole che consentono di rimpiazzare i segni non verbali di un messaggio con altri segni eventualmente verbali ma di un altro messaggio. Nella logica del codice, si passa da un significante a un altro significante. Nella logica della significazione si passa da un significante a un oggetto significato (vedi Tav. 6). Più precisamente, nella logica della significazione si passa dall’espressione di parole a un oggetto, per cui quando si dice ‘abito nero sotto il ginocchio’ ci si riferisce all’oggetto abito nero sotto il ginocchio. Nella logica del codice, un insieme di segni, verbali o non verbali, viene convertito in un testo di segni con la mediazione delle regole di un codice. Per esempio, un sintagma significante (mettiamo “Barbarossa”
[11]) viene tradotto in un altro insieme significante (mettiamo “attacco all’alba sul fronte orientale”). Oppure, un insieme di segni non verbali come il seguente:
/.- / .. / ..- / - / \\--- / viene convertito seguendo il codice Morse nel significante ‘aiuto’. In definitiva, alla insegna del codice si passa da un significante a un altro significante evitando il significato. Quando si produce la catena significante ‘abito nero sotto il ginocchio’ si rinvia a un’altra catena significante, per esempio ‘colazione da Tiffany’.
Nella trasmissione dei segni non verbali in codice si passa da un significante a un altro significante in una semiosi illimitata. |
Tav. 7. La semiosi illimitata. |
Tav. 8. Nella logica del codice la conversione avviene tra un significante e un altro significante, escludendo il significato. |
Limiti nel discorso semiotico applicato alla moda
Nonostante il fascino del discorso semiotico applicato alla moda, occorre segnalare alcune manchevolezze in questa teoria che saltano agli occhi.
La donna vestita alla moda non indossa abiti concreti ma segni astratti
Nel modello strutturalistico, un segno – e gli abiti, abbiamo visto, vengono intesi come segni – un segno non ha un valore in se stesso ma unicamente in quanto sta per qualcosa d’altro. Per esempio, la minigonna sta per la società opulenta della fine degli anni ’50
[12]. Se le cose stanno così, allora una donna vestita alla moda non porta abiti concreti, ma indossa segni astratti. In tal modo gli abiti, che pure dovrebbero essere la prima cosa che conta nella moda, scivolano via come spettri esangui dal teatro della moda, rinviando a altro.
Per esempio, se il tubino nero, non quello indossato da Audrey Hepburn nel film
Colazione da Tiffany, ma quello messo disposizione delle impiegate e studentesse dalle sartine a buon mercato, era il segno della rivoluzione che permetteva l’accesso ai capi della haute couture a tutte le ragazzine, o addirittura l’alba della donna moderna, the
dawn of the modern woman, nel 1961,
[13], allora le ragazzine in questione sarebbero diventate poco più che donne sandwich reclamizzanti qualcosa d’altro di ciò che indossavano. E ancora, gli abiti leggeri con le gonne appena sopra le ginocchia, con la vita abbassata alle anche, i seni appiattiti, i capelli corti, introdotti dalle
flappers in Inghilterra e negli USA e dalle
garçonnes in Francia, sarebbero stati un segno della ribellione alle costrizioni dell’età vittoriana e del proibizionismo, e le ragazze alla moda non già portatrici di uno stile di vita bensì annunciatrici di come andava il mondo. E ancora, per restare negli anni venti, dopo la grande depressione, il ritorno della vita alla posizione anatomica che consentiva di allargare i fianchi e l’aspetto prosperoso dei seni anche grazie all’uso di reggiseni che oggi si chiamerebbero
push up, e l’allargamento delle spalle con imbottiture vistose, sarebbero stati segni dei pericoli della recessione per affrontare la quale conveniva armarsi anche con gli strumenti del football americano.
La donna non è il soggetto della moda
La donna che indossa un abito alla moda è evidentemente il soggetto del fenomeno della moda. Sembra quindi in qualche modo incongruo espungere, come abbiamo visto fare dai critici semiologi prestati alla moda, la donna dal suo ruolo naturale di soggetto per relegarla nel ruolo marginale di un segno che non a lei ma a altro rinvia. Queste conseguenze tuttavia non stupiscono, costituendo piuttosto una derivazione razionale e logica delle premesse e dell’ideologia della teoria semiotica in generale e in particolare della teoria semiotica applicata alla moda. Come nella critica letteraria di matrice strutturalista il soggetto non è l’autore naturale del libro ma il lettore che leggendolo con le sue interpretazioni cooperative ne diventa l’autore adottivo (Umberto Eco, 1979,
Lector in fabula, Milano, Bompiani
[14]), così il soggetto della moda sono le fluttuazioni delle vicende storiche, economiche, politiche. (Fra parentesi, il cinquantennio di semiologia linguistica a partenza dalla Francia è stato una fuga dalle cose, dai riferimenti nelle cose, per cercare rifugio nei nomi delle cose. Una coda di ciò si osserva nelle speculazioni finanziarie nel cui universo gli investimenti vengono fatti sui nomi (assegni, debiti) piuttosto che non sugli oggetti dell’economia come quantità di grano o quintali di acciaio o numero di maiali.)
La teoria semiotica della moda, mettendo il segno astratto al posto dell’abito di stoffa concreto e della donna con il proprio corpo altrettanto concreto su cui l’abito adattandosi prende vita, rivela un suo tratto impersonale, universale, disincarnato, immateriale. Cerca in tutti i modi di mimetizzare, mettere in sandwich, insaccare in un saio, la ragazzina e la donna che si vestono in un certo modo, escono in strada, vanno a scuola, in ufficio, all’università, forse meno con la pretesa socialmente universale di comunicare qualcosa su come vanno le cose nel mondo della finanza e della politica o sull’alba della donna moderna, e forse più con l’aspettativa individuale contingente di incontrare questa o quella persona a ciascuna delle quali singolarmente si offrono nella loro mise alla moda.
Quando la posta in gioco è il corpo della donna che indossa abiti alla moda
La ragazza che indossa capi alla moda non è un megafono di verità che la trascendono. È una creatura piena di timidezze e arroganza, di paura e di strafottenza, ma sempre rivolta agli altri con l’interrogativo inquieto e costante su come gli altri la vedono. È una creatura di scambi e di baratti, non un anonimo elemento della catena di significanti entro la quale la semiosi illimitata l’ha inserita tentando di oscurare la luminosità accecante del fatto che nella moda la posta in gioco è il corpo di una donna che indossa un abito alla moda.
La moda è una forma di azione
Ma in che senso il corpo di una donna che indossa un abito alla moda è la posta in gioco nella moda?
La risposta dovrebbe apparire abbastanza semplice se considera il complesso fenomeno della moda dalla angolatura ristretta e specifica in cui l’abbiamo esaminato noi, guardando quello spicchio della moda rappresentato dalle donne che indossano abiti alla moda nella vita di ogni giorno, per strada, in ufficio, a scuola. Il corpo della donna che indossa un abito alla moda è la posta in gioco in un baratto di corpi, tra un corpo che domanda un altro corpo, da una parte, e un corpo che si offre al corpo che domanda, dall’altra.
Il corpo della donna che indossa un abito alla moda è la posta in gioco in un baratto di corpi, tra un corpo che domanda un altro corpo, da una parte, e un corpo che si offre al corpo che domanda, dall’altra. |
Tav. 9. La posta in gioco nella moda è il corpo della dona che indossa un abito alla moda. |
La tesi che stiamo sostenendo, che la moda non è tanto la scena di una scienza teoretica il cui scopo sarebbe la comunicazione di conoscenza e la scoperta di verità, come vuole il paradigma semiotico, ma, più convincentemente, la scena di una scienza pratica dove una ragazza concreta, non un segno astratto, compie l’atto di indossare un abito alla moda allo scopo di mostrare e nascondere un corpo che è ciò che conta sulla piazza del mercato della moda, si muove secondo il paradigma delle due azioni complementari della domanda e dell’offerta proprie di ogni mercato.
E come ogni mercato, anche il baratto dei corpi ha il suo luogo deputato sulla Piazza del Mercato. Sulla Piazza del Mercato convergono due corpi: un corpo che domanda un altro corpo e un corpo che si offre al corpo che domanda. Dei due mercanti sulla Piazza del Mercato, il corpo che domanda un altro corpo è il corpo del
trader compratore, nel senso tecnico che, per definizione mercantile, chi domanda è il compratore. Correlativamente, il corpo in offerta è il corpo del
trader venditore, nel senso speculare che chi offre in un mercato è il venditore. Siccome stiamo parlando della moda della donna, della donna che indossa abiti alla moda, il
trader venditore sarà la donna. Se ci fossimo occupati della moda maschile, il
trader venditore sarebbe stato l’uomo. Sulla Piazza del Mercato della Moda di cui ci occupiamo il corpo in offerta è quello della donna, in offerta al corpo dell’uomo che domanda di comprarlo (Giampaolo Lai, 2011, op. cit.
[15]).
Il Cantico dei Cantici
Come sono belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mano d’artista. Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato di gigli. I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di gazzella. |
Tav. 10. Cantico dei Cantici, 7, 2-4. |
Dopo quanto si è detto, occorre non ripetere la medesima fuga dal corpo nell’allegoria propria della semiotica applicata alla moda quando prende una cosa per un’altra. Il corpo di cui è questione sulla Piazza del Mercato della Moda non va inteso come allegoria ma nella sua interpretazione letterale, esattamente come il Cantico dei Cantici non va preso nell’interpretazione allegorica dell’amore di Dio per Israele, né dell’amore del popolo per il suo Dio, né del matrimonio di Cristo con la Chiesa, né per l’unione mistica dell’anima con Dio, ma nella sua lettura letterale come l’espressione della tensione sensuale tra due corpi del desiderio che si cercano e si allontanano (Tav. 11), si perdono di vista per
Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me. |
Tav. 11. Cantico dei cantici, 6, 3. |
tornare a guardarsi, a ammirarsi (Tav. 12).
Volgiti, volgiti, Sulammita, volgiti, volgiti, vogliamo ammirarti. Che ammirate nella Sulammita durante la danza a due schiere? |
Tav. 12. Cantico dei cantici, 7, 1. |
Nella medesima logica delle negoziazioni tra due traders sulla Piazza del Mercato.
Il ritorno dell’abito alla moda
Ma se le negoziazioni sulla Piazza del Mercato si facessero unicamente e sempre con la posta in gioco di un corpo del desiderio, rischieremmo un’altra volta di aver messo fuori gioco l’abito alla moda. Non è così. Per renderne conto occorre fare un passo indietro sulla teoria del
bilateral verbal trade, alla quale ci rifacciamo, per richiamare una proprietà fondamentale delle vicende del mercato. Nel senso che un mercato, un
trade, può andar bene, e allora parliamo di
fair trade, come faremmo per il
trade della Tav. 10, o può andar male, e allora parliamo di
bad trade. L’operazione cruciale a disposizione del
trader venditore, nelle occorrenze di
bad trade, è di lanciare beni,
assets, che funzionino da incentivi, dai quali il
trader venditore si aspetta che il mercato inceppato si riprenda, che il mercato orso,
bear market, ritorni mercato toro,
bull market, che il mercato prossimo a chiudersi riprenda la sua marcia (Giampaolo Lai, 2011, op. cit.
[16]).
Ma quando, in quali occasioni, può andar male un mercato tra due corpi del desiderio che invece va bene quando i due corpi si desiderano, si cercano, ammirano, come nelle Tav. 10, 11, 12? La risposta è semplice. Quando precipita la domanda da parte del trader compratore, e l’offerta del trader venditore cade nel vuoto. L’incentivo che il trader venditore, cioè la donna che veste abiti alla moda, lancia al trader compratore al fine di rianimare il suo desiderio di domandare un corpo, sta proprio nell’indossare abiti alla moda.
Ipotesi generale: l’abito alla moda indossato dalla donna è un incentivo per ravvivare una domanda di desiderio che va spegnendosi
L’inferenza che abbiamo tratto a partire dall’uso degli incentivi di abiti di moda da parte della donna che li indossa sulla Piazza del Mercato è che questo uso dipende dalla caduta della domanda di desiderio da parte del trader compratore. Questa inferenza è la prima tesi, una sorta di teoria generale della moda. Sulla Piazza del Mercato della Moda la donna indossa abiti alla moda come incentivo per ravvivare una domanda per il proprio corpo da parte del trader compratore che si sta spegnendo. La donna che veste abiti alla moda, nel ruolo di trader venditore, evidentemente non vuole vendere gli abiti che indossa, ma indossa abiti per meglio vendere se stessa. E, ragionevolmente, in linea con le elementari regole del mercato, tanti maggiori incentivi lancerà, sempre più sofisticati e iperbolici, quanto più la domanda si fa debole, in modo da solleticare la tendenza assopita a comprare del compratore. E non c’è dubbio che la moda attuale sembra seguire questa strada delle invenzioni sempre più imprevedibili, delle costruzioni sempre più attraenti, in modo che l’offerta sempre presente nella donna che veste abiti alla moda incontri la domanda che a volta si spegne nel trader compratore.
Per completare il discorso che stiamo svolgendo dovremmo indagare le ragioni della contrazione della domanda da parte del trader compratore, della sua diminuzione del desiderio del corpo del trader venditore, cioè della donna obbligata a una rincorsa sempre più affannosa per ricondurlo a comprare sulla Piazza del Mercato. Ma non abbiamo le competenze sociologiche per svolgere questa ricerca, che d’altronde esula dal tema del baratto dei corpi che ci siamo proposto.
Teoria speciale sulla moda del 2011
Se la teoria, secondo la quale la donna che indossa un abito alla moda tenta di incentivare il desiderio sulla Piazza del Mercato nel trader compratore affinché questi torni a fare la domanda del suo corpo, vale in generale, è possibile vedere, in particolare, che cosa succede in periodi differenti, per esempio nell’estate 2011, caratterizzata, come ci è sembrato, dalla moda dei seni a vista e dai pantaloncini?
In altri termini, se vale quanto si diceva prima, che gli incentivi degli abiti alla moda in generale sono conseguenti alla caduta della domanda di trader compratori desideranti, si può pensare che gli incentivi della moda dei seni a vista e dei pantaloncini abbiano di mira una qualche caduta particolare di desiderio o abbiano in mente uno specifico afrodisiaco per una specifica forma di bad trade? Proviamo a ragionarci su.
Guardata da lontano, una donna, con i seni scoperti e con i pantaloncini, fa pensare a un adolescente, a una ragazzina, a una piccola Lolita
[17]. Vorrebbe dire che l’attività desiderante del
trader compratore, cioè l’uomo che negozia con una donna portatrice di moda sulla Piazza del Mercato, è smorzata dalla presenza della donna inequivocabilmente donna, compresa l’età adeguata, e che può quindi ragionevolmente essere ripristinata da una normalizzazione androgina uni-sex o da un ritorno alla pre-adolescenza? Di questo si sarebbero accorte le portatrici di abiti alla moda dell’estate 2011? Forse sì. Eventualmente confortate dal ricordo – anche se la moda non è evolutiva ma randomica markoviana, fruga tuttavia nel bagaglio dei ricordi – di esperienze precedenti delle donne portatrici di abiti alla moda, per esempio negli anni ’60 della minigonna e negli anni ’20 delle
flappers o
garçonnes o maschiette. La minigonna veste la donna come una bambina. Gli abiti che annullano i fianchi e schiacciano i seni parimenti allontanano le protagoniste della moda degli anni ’20 dalla donna interamente donna mostrando al suo posto una creatura incerta, indifferenziata, né maschio né femmina,
garçonne, appunto, maschietta.
Nella metamorfosi da donna a adolescente a maschietta a Lolita non sappiamo decidere se si tratti di un allontanamento dai tratti femminili di una donna interamente donna verso una creatura ambigua né maschio né femmina, o un po’ l’uno un po’ l’altro, [né adolescente né bambina,] o non piuttosto di una fuga dall’età matura della donna e della ragazza verso l’età acerba. Insomma non sappiamo se la donna alla moda nell’estate 2011 sulla Piazza del Mercato lancia i suoi seni scoperti e i suoi pantaloncini come incentivi per un trader compratore assuefatto alla donna interamente donna e quindi alla ricerca del correttivo di una donna unisex, o non invece per un trader compratore assuefatto alla donna matura e assetato di donne acerbe. Ma occorre ben altro che una breve nota estiva sulla moda buttata giù tra l’altro da un incompetente in tanti fatti della moda per risolvere il quesito. Aggiungiamo tuttavia in appendice, a uso di chi fosse interessato al problema, una breve considerazione che potrebbe far pendere l’opzione da una parte o dall’altra.
Il pelo nella moda
La moda ha come ambito non solo gli abiti che le donne indossano sui loro corpi ma anche aspetti precisi privilegiati del loro corpo. Per esempio le rughe, gli etti di peso in più, le ombre intorno agli occhi e alle labbra, e i peli. Quanto a quest’ultimo aspetto, dei peli nella moda, a partire da un certo momento, che gli storici della moda potranno precisare, ma diciamo approssimativamente dagli anni cinquanta, l’abito della moda nella donna esige la soppressione dei peli. Riguarda le ascelle, all’inizio, e le gambe, e più tardi il pube, attraverso creme, rasoi, cerette, e altri ausili, al fine di rendere il corpo glabro come quello di una ragazza prima della pubertà. Anche qui si pone la domanda precedente. Mediante la metamorfosi del corpo glabro, la donna alla moda sulla Piazza del Mercato offre al trader compratore un corpo più lontano nella forma da quello della donna interamente donna e più vicino a quello relativamente indifferenziato della ragazzina pre-pubere, oppure un corpo più acerbo lontano negli anni rispetto a un corpo più maturo?
Conclusioni e riassunto
La nostra tesi. La moda della strada non è tanto un segno astratto che denota qualcosa d’altro, per esempio l’alba della donna moderna o l’avvento della società opulenta, come vuole la teoria epistemica della semiotica strutturalista. Per noi, piuttosto, la moda della strada è una forma di azione compiuta da una individuale donna concreta vestita alla moda la quale mostra il proprio corpo in offerta a altri corpi desideranti in un baratto sulla piazza del mercato, come sostiene la teoria pratica del bilateral verbal trade, del mercato bilaterale di parola. |
Tav. 13. La nostra tesi sulla moda della strada. |
Abbiamo esaminato uno spicchio della moda femminile in strada a Milano nell’estate 2011, individuata nell’abbinamento di seni in evidenza e di pantaloncini. Ci siamo interrogati su questo fenomeno utilizzando due chiavi interpretative. La prima che chiameremo epistemica è rappresentata dalla teoria semiotica strutturalista che vede la moda come un segno che rinvia a altro; per esempio la moda delle flappers è un segno dell’emancipazione femminile, la moda delle minigonne è un segno della società dell’abbondanza. La seconda che chiameremo invece pratica, è rappresentata dalla teoria del bilateral verbal trade che vede la moda come un’azione compiuta sulla Piazza del Mercato da una donna che offre l’incentivo del proprio corpo vestito alla moda per ravvivare il desiderio spento nel trader compratore.
Ciascuna delle due teorie ha i suoi vantaggi e i suoi limiti. I vantaggi della teoria epistemica della linguistica strutturale sono di situare il fenomeno della moda nell’epoca in cui si manifesta. La sua debolezza sta nell’oscurare sia il corpo della donna sia i vestiti alla moda che indossa considerando che ciò che conta nel fenomeno della moda sono le vicende sociali, culturali, economiche in cui si svolge e non i singoli individui che vi sono coinvolti. La debolezze della teoria pratica del bilateral verbal trade sta nel trattare il fenomeno della moda come un fatto che coinvolge individualmente, l’uno in rapporto all’altro, due corpi del desiderio come se il mondo circostante non esistesse. In compenso i suoi vantaggi stanno nel mettere sotto i riflettori ciò che conta nel fenomeno della moda, il corpo della donna desiderante che si veste degli abiti come incentivi per riaccendere il desiderio sopito nel trader compratore sulla Piazza del Mercato.
Ogni stagione della moda è scollegata rispetto alla precedente e alla seguente come in una catena randomica di Markov. Tuttavia sembrano ricorrere modelli come quelli dell’estate 2011, caratterizzati dai seni scoperti e dai pantaloncini, che, secondo la logica della Piazza del Mercato della teoria del bilateral verbal trade non si sa bene se esprimano il desiderio della donna alla moda di offrire al desiderio del trader compratore una sua metamorfosi che si allontana dalla donna interamente donna per assumere guise androgine indifferenziate, oppure che sempre dalla donna compiuta si allontanano ma per approdare a guise anteriori nel tempo, come il preadolescente con il corpo glabro e i pantaloncini.
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[1] Malcolm Gladwell, 2000, The tipping point, Little Brown. (trad it. 2000, Il punto critico, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano)